Tra il 1300 ed il 1400 le terre appartenevano alla famiglia Sanseverino, che ebbe un attivo ruolo negli importanti eventi storici di questo periodo.
Il duca Venceslao Sanseverino fu il promotore della costruzione della Certosa.
Gli atti e i documenti che testimoniano come sia stato complesso l’evolversi delle vicende che hanno portato alla costruzione della Certosa di S. Nicola, proprio qui, quasi a metà strada tra Napoli e la Sicilia e quasi al centro tra lo Ionio ed il Tirreno, non erano sufficienti a spiegare una nuova presenza monastica alle popolazioni locali ed il perché della nascita della Certosa.
Forse per dare ancor di più un tono di maggior credito nacque anche una storia parallela sulla motivazione che portò in questi luoghi i Certosini. Si racconta infatti che il duca Venceslao avesse un figlio gravemente malato che nessuno riusciva a curare. Per quanto il duca cercasse qualcuno che potesse salvargli il figlio, nessuno ne era capace. Un giorno un monaco certosino, che aveva una gran fama di saper curare ogni sorta di malanno con infusi ed estratti d’erbe che solo lui ben conosceva, venne a passare dalle parti del castello di Claremontis (Chiaromonte), il luogo dove il duca dimorava.
Appena Venceslao seppe di questo eccezionale guaritore lo convocò subito nel suo castello e gli disse: “se riesci a guarire mio figlio ti darò in cambio tutta la terra che vedi da quella finestra”, ed indicò una finestra nella stanza in cui si trovavano e che dominava tutta la valle, dal fiume Sinni e poi a salire fino al Monte Caramola.
Secondo tale storia parallela, il monaco riuscì a guarire il ragazzo malato ed il duca mantenne così la sua promessa, donando ai monaci il territorio su cui in seguito venne edificata la Certosa. Si racconta che il monaco certosino si trovasse in quei luoghi proprio perché in cerca di un posto idoneo dove poter costruire una Certosa.
In questa storia o leggenda che sia, ci sono molti elementi realistici, come ad esempio la particolare forma dell’attuale territorio del Comune di Francavilla (il quale derivò direttamente dal territorio della Certosa di San Nicola), proprio a forma di triangolo, con la base posta al fiume Sinni e l’apice in cima al M. Caramola. In effetti, la forma di una veduta cne si può ancora oggi notare guardando da una finestra da Chiaromonte.
Nel mese di dicembre del 1394 fu posta la prima pietra del Monastero di S. Nicola in località S. Elania.
Si allude molto probabilmente alla dimora provvisoria dei monaci certosini che verrà poi chiamata “Villa Rustica”.
Il 15 gennaio 1395 Ugo Sanseverino, conte di Potenza e gran Protonotario del regno, fu tra coloro i quali sottoscrissero a Napoli la carta di fondazione del monastero di S. Nicola in valle di Chiaromonte.
Il 16 gennaio 1395 l’ordine certosino fu investito dal Duca Venceslao di Sanseverino, del suffeudo costituito dai territori di Sanctae Helaniae e di Sanctus Angelus, (entrambi territori delle odierne omonime contrade del Comune di Francavilla in Sinni), per mantenere fede alla promessa fatta dal duca stesso ai monaci.
Il territorio promesso era sufficientemente ampio ed al momento quasi del tutto privo di abitanti onde poter far esercitare dai monaci, futuri abitatori, il divieto di insediamento in esso di persone che, “per sesso e costumi di vita”, potessero “disturbare” la rigorosa osservanza delle consuetudini del loro Ordine.
Tale territorio risultò purtroppo essere già suffeudo del monastero basiliano e poi benedettino dei monaci di S. Angelo al Raparo.
Solo dopo varie procedure per la sostituzione ufficiale del beneficiario, il territorio passò ai monaci certosini.
Il primo aprile 1395 avrebbero dovuto avere inizio i lavori di costruzione del monastero, ma l’inizio fu rinviato perché non ancora completata l’opera di trasferimento della proprietà dai monaci benedettini a quelli certosini. Tuttavia il Duca Venceslao fece costruire rapidamente, in località “Fungalone” dell’attuale Francavilla in Sinni, una residenza con una cappella, diversi magazzini, stalle e quant’altro servisse per ospitarvi provvisoriamente il primo monaco certosino, qui giunto con un piccolo seguito di conversi e servi, con 500 capi ovini e con 50 capi bovini e con una donazione annua di 30 tomoli di sale (da usare per la conservazione per gli alimenti) e 100 once d’oro. Tale residenza fu in seguito nominata “Villa Rustica”.
Il 12 dicembre 1396 il Duca Venceslao dovette emanare chiare disposizioni, affinché i possedimenti allodiali dei monaci certosini fossero collocati in regime consuetudinario comune a quello dei privati, quindi diverso da quello dei possedimenti monastici della vicina Abbazia Cistercense di S. Maria del Sagittario e dello stesso monastero di S. Angelo al Raparo. Analoghe disposizioni furono emanate in merito ai contratti di lavoro, onde fu stabilito che:
I) I braccianti e gli affittuari dipendenti dai monaci non dovessero essere da alcuna persona distolti dagli impegni presi, fino a che non li avessero portati a termine;
II) Nelle terre dei monaci certosini lo ius terraticum (arare e seminare) e lo ius pascendi (pascolare) potessero essere goduti solo per autorizzazione dei monaci stessi.
Nonostante il I giugno 1397 i Certosini avessero ottenuto l’assenso al trasferimento del feudo dai monaci di S. Angelo al Raparo, questi ultimi continuavano a non voler rinunciare ai loro possedimenti, sia per desiderio di rispettare la volontà del loro defunto donatore, sia per ostacolare la venuta di nuove comunità monastiche in questa parte del Regno di Napoli.
Solo nel 1402 il Duca Venceslao riuscì ad investire i Certosini del feudo e fece iniziare la costruzione della sede definitiva della Certosa di S. Nicola, laddove di essa rimangono i ruderi. La località poi detta Francavilla, originariamente abitata dai monaci, dai conversi e dai servi, cominciò a svilupparsi come “Villa Rustica”.
Nel 1404, con la morte di Venceslao, la famiglia Sanseverino fu privata dei possedimenti di Tricarico e di Chiaromonte per cui cessò il finanziamento per la costruzione della Certosa. Per questo motivo il certosino Fra’ Giorgio di Alemagna dovette richiedere al Re Ladislao la conferma dei suffeudi, dei privilegi e delle relative immunità.
La sostituzione decisa dal Re delle cento once d’oro annue con una vigna a Chiaromonte, un uliveto a Senise e un possedimento detto “la Carrosa” a Fardella mise in crisi la comunità monastica di S. Nicola che dovette interrompere i lavori di costruzione della sede definitiva della Certosa e anche ridurre il numero dei monaci. Non avendo più le cento once d’oro annue, i Certosini incrementarono le produzioni agricole per poter vendere il prodotto eccedente il consumo interno. Questa vendita avveniva comunque con limitatissimi ricavi a causa della incidenza del costo del trasporto, dipendente dalla lontananza dai grandi centri commerciali.
Sebbene la resa dei raccolti fosse alquanto scarsa (ad esempio la resa dei cereali era al massimo di 1 a 4, contro gli attuali 1 a 10 – 1 a 20), in questo periodo i monaci producevano una grande varietà di prodotti: cereali, olio, vino, legumi, cotone, lino, noci, castagne, zafferano, miele, cera e bozzoli di baco da seta. Un’importanza rilevante avevano inoltre gli allevamenti ovini, bovini e suini non solo per la produzione di lana, pelli, formaggi, ma anche per la vendita diretta dei capi. Il bestiame dei monaci oltre a godere dei pascoli intorno alla Certosa, godeva anche della disponibilità di pascolo transumante in altri possedimenti in Calabria e in Basilicata di Ludovico Sanseverino, signore di Rocca Imperiale.
Nelle terre vicine alla sede definitiva del monastero, i monaci avevano una conduzione diretta; in quelle più distanti le terre venivano gestite tramite contratti di concessione, dati ai pastori del luogo.
Tra il 1433 ed il 1439 i monaci si erano trasferiti nella Certosa appena ultimata, lasciando libera la Villa Rustica che da allora fu chiamata “Villa Franca” perché territorialmente usufruente della immunità e dei privilegi di cui godevano i feudi di S. Nicola. Il tredici gennaio 1439 fu redatta la pergamena notarile su cui furono scritti i capitoli concessi dai Certosini ai primi dieci vassalli di Francavilla.
Tra le disposizioni emanate in merito ai contratti di lavoro fu stabilito che i vassalli dovessero “pagare la decima” cioè dare ai monaci la decima parte di tutto ciò che veniva da loro prodotto.
Queste vantaggiose disposizioni erano un vero e proprio richiamo per le popolazioni limitrofe che, costretti a subire le angherie dei feudatari, dovevano pagare tasse molto più elevate: essi dovevano dare almeno la metà del raccolto al loro padrone.
Nel 1439, quando Francavilla divenne Università, i monaci di S. Nicola diedero seguito al loro proposito di immettere vassalli nel territorio relativo, avendo ormai l’ autorizzazione necessaria per trasferire i previlegi e le immunità in cambio del pagamento delle decime, ma anche di fedeltà ed obbedienza alla Certosa.
Così come nel medioevo intorno al castello feudale si sviluppava il centro abitato, allo stesso modo anche intorno ad ogni monastero si aveva in genere lo sviluppo di un nuovo nucleo abitativo.
A breve distanza dalla Certosa di S. Nicola si sviluppò così il paese Francavilla in Sinni.
Ancora oggi nella toponomastica locale è presente la forte influenza monastica, come si evince dai nomi delle numerose Contrade che fanno riferimento a diverse figure religiose (ad esempio: contrada S. Elania, contrada S. Domenico, contrada S. Angelo, contrada S. Biase, contrada Fra’ Tomaso (indicata erroneamente con “Frattommaso”, contrada Monaca, contrada Vigna Chiesa, contrada Aia della Chiesa, e Timpa S. Carlo).
Nel 1456 la Certosa subì gravi danni a seguito di un terremoto.
Nel 1504 fu gravemente danneggiata dall’occupazione delle truppe del Re di Francia.
Ogni volta venne ricostruita riutilizzando anche i resti e cocci dei materiali preesistenti.
Nel 1515 il Monastero era comunque di nuovo in pieno splendore ed efficienza, tanto da poter prestar aiuto alla Certosa di S.S. Stefano e Bruno in Calabria che versava in difficoltà.
Nel 1576 fu esposta al pericolo dell’invasione dei Turchi, sbarcati sul versante ionico, ma questi vennero prontamente respinti dalle truppe del Principe Bisignano, accorso in difesa della Certosa.
Oltre a questi avvenimenti storici, riportati su vari testi, ci sono pervenuti documenti che illustrano la vita di grande fervento ed opulenza dei monaci. Essi, che non mangiavano carne, facevano arrivare il pesce fresco dai loro possedimenti vicino al mare, presso Policoro e Taranto, nonostante le enormi difficoltà per il trasporto di una merce così facilmente deperibile. Il percorso, tortuoso ed accidentato, era lungo 60 Km e dal Mar Ionio si snodava tra il fiume Sinni e le colline circostanti la Certosa.
Vivendo un periodo di prosperità, i monaci non badavano a spese; comunque se vi erano momenti di carestia e di penuria di cibo tra la popolazione dei loro coloni, essi intervenivano distribuendo pane per i più bisognosi. Da questa usanza era rimasta la tradizione di distribuire gratuitamente il pane alla popolazione nei giorni delle feste di S. Bruno e di S. Nicola.
Per avere un’idea della prosperità della Certosa citerò un racconto fattomi dal Sig. Giuseppe Ciancia, un anziano vicino di casa, agli inizi degli anni ’80. Egli mi raccontava che il suo bisnonno (verso la fine del 1700) era solito andare a comprare il sale presso i monaci e che proprio durante una di queste commissioni aveva appreso che nella Certosa entravano ogni giorno ricchezze pari al valore di 1 chilo d’oro.
Ma come la Storia insegna, ogni impero, regno o piccola comunità che sia, ha il suo ciclo di splendore e di declino, così anche la Certosa di S. Nicola arrivò alla sua capitolazione.
Si era appena giunti alle soglie del XIX secolo quando venne saccheggiata durante i moti rivoluzionari, e subito dopo, tra il 1808 ed il 1812, venne definitivamente soppressa dalle leggi napoleoniche, che posero fine anche alla feudalità (vedi Leggi sulla eversione della feudalità e soppressione delle istituzioni religiose; 2/8/1806 ed 1/9/1806; Giuseppe Bonaparte).